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31 luglio 2020
Laura Montanari, intervista a Massimo Recalcati – Fonte: La Repubblica, 9 luglio 2020

“La libertà è vuota senza solidarietà”



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“L’anima e il contagio” è il titolo dell’intervento dello psicoanalista Massimo Recalcati in programma stasera alla Repubblica delle Idee: una riflessione su quello che abbiamo attraversato e su dove troveremo i sentieri per proseguire.

Siamo tornati fuori, a camminare per le strade, ma con mascherina e distanze. Cosa ci ha
lasciato dentro, in eredità, il Covid?
«Speriamo diverse cose. Speriamo di non dimenticare tutto subito. Accadeva anche all’indomani dell’11 settembre; qualcuno aveva scritto. Dobbiamo ritrovare il più presto possibile il diritto di non pensare e di dormire in pace. Sarebbe invece una tragedia nella tragedia se non avessimo imparato nulla, se tornassimo a dormire come se niente fosse successo. Ci sono almeno tre tremende lezioni del Covid 19 che ci converrebbe non dimenticare ed ereditare. La prima: non si può ridurre la natura a mera risorsa da sfruttare impunemente. La seconda: non è possibile che un paese non abbia un sistema di sanità pubblica diffuso su tutto il territorio e una scuola capace di garantire educazione, ricerca scientifica e formazione. La terza: la libertà non può coincidere con una proprietà dell’individuo, non può essere ridotta al capriccio di fare quel che si vuole. Senza la solidarietà la libertà è una parola vuota. La salvezza o è collettiva o non può esistere».

Secondo l’Istat, la paura e l’incertezza causate dalla pandemia porteranno entro il 2021 a un crollo delle nascite. Cosa ne pensa?
«Penso che l’evento della nascita comporti una quota di fiducia nel futuro e che nel tempo di questo
trauma collettivo l’orizzonte del futuro si sia inevitabilmente contratto. Ma per riavere il futuro è
necessario agire nel presente con decisione. Per esempio stando vicino agli ultimi e ai più fragili
economicamente, per esempio garantendo il diritto al lavoro. Senza lavoro non c’è futuro».

Dunque come possiamo reagire dopo le ansie e la reclusione?
«Il rischio sarà quello di preferire il chiuso, la protezione, la difesa all’aperto, alla libertà, alla
generazione. Era un rischio già presente prima del Covid 19 nelle forme della pulsione securitaria,
della difesa dei confini, della loro militarizzazione. Il simbolo del muro era tornato in modo
inquietante di grande attualità dagli Stati Uniti di Trump sino ai fili spinati di Orban. Il rischio che io vedo è una accentuazione della cultura del muro e della segregazione».

Dal suo osservatorio clinico, come sono andati i rapporti di coppia nel lockdown? Più o meno
separazioni?
«La prossimità quando è forzata nuoce sempre al desiderio. È quello che spesso è accaduto. Al tempo stesso però abbiamo fatto esperienza che anche i rapporti a distanza possono essere prossimi».

E come hanno retto le famiglie?
«Le famiglie sono state il luogo della resistenza civile al virus. Hanno vicariato l’assenza della
Scuola, hanno sopportato l’angoscia dei figli, hanno mantenuto aperta la speranza, hanno sopportato materialmente condizioni di vita molto spesso difficili».

Cosa ci può aiutare a riprendere la normalità che il virus ci ha sottratto: immaginare una
vacanza, iscriverci a un corso di yoga, leggere un libro... Come ritroviamo l’equilibrio che
abbiamo perduto, l’abbraccio con gli amici che ci manca?
«Continuare a distinguere l’essenziale dall’inessenziale. Perché questa è stata un’altra
lezione del virus che sarebbe bene non dimenticare troppo presto».





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