L'UOMO NELL'ETÀ DELLA TECNICA

Lezione magistrale di Umberto Galimberti

Giovedì 13 ottobre 2005 - ore 20,45

Siamo ancora persuasi che la tecnica sia un mezzo nelle mani dell'uomo e quindi che l'uomo abbia ancora un governo della tecnica, probabilmente le cose non stanno più così. Nel senso che forse l'uomo - il forse lo dico per delicatezza - nel senso che l'uomo non più il soggetto della storia, ma la tecnica è diventato il soggetto della storia e l'uomo è diventato un funzionario dell'apparato tecnico. Questa è la tesi che vediamo d illustrare. C'è un senso in cui è possibile dire che la tecnica in qualche modo è nemica dell'uomo, e questo è dovuto al fatto che fra tutti gli esseri viventi l'uomo è l'unico Òanimale Ò che non ha istinto e quindi supplisce a questa carenza istintuale con dispositivi tecnici. L'istinto è una risposta rigida a uno stimolo; se io faccio vedere una bistecca a una mucca, la mucca neanche la vede, perché l'istinto della mucca la porta a mangiare l'erba e questo fa si che ogni animale sia in qualche modo armonico al suo ambiente, sa come vivere pilotato dall'istinto che è un codice rigido. L'uomo non ha questo codice e non ha istinti, anche i famosissimi istinti sessuali quel poco istintivo che io in presenza a una spinta sessuale, posso concedermi a tutte le perversioni, cosa che non sembra consentita agli animali. Così come posso anche assegnarmi in funzione di una pulsione sessuale, assegnarmi una meta non sessuale tipo un'opera d'arte. Quindi questa imprecisione biologica, questa non codificazione che è al fondamento della libertà umana, l'uomo è libero perché è biologicamente carente, perché non è codificato come gli animali da un apparato istintivo rigido, fa si che per vivere l'uomo deve immediatamente organizzarsi tecnicamente, anzi possiamo parlare di uomo nell'albero degli antropologi compreso anche le scimmie; posiamo parlare di uomo là dove incomincia il dispositivo tecnico che supplisce quell'insufficienza biologica che è il codice istintuale.

Per vivere l'uomo deve darsi da fare e attraverso la tecnica supplisce la carenza di codici istintuali, questa tesi è sostenuta da Platone, il quale nel Protagora racconta mitologicamente che Zeus aveva affidato a Itimeteo, fratello di Prometeo - Itimeteo vuol dire: quel che pensa dopo, quindi lo stupido, l'improvvido a differenza di Prometeo che è quello che prevede - il compito di dare a tutti i viventi la loro qualità. Infatti Ipimeteo chiede a larghe mani tutti gli animali il loro istinto, giunto all'uomo non aveva più alcuna qualità, allora Zeus preso pietà di questo vivente, incaricò Prometeo, - colui che vede in anticipo prometis (pensa prima) - di dare agli uomini la sua virtù che è quella di anticipare.

Infatti anche Hobbes nel 1600, dice che mentre gli animali mangiano quando hanno fame, l'uomo è affamato anche della cultura, perché anticipa, perché prevede che avrà fame anche quando è sazio. Questa tisi che l'uomo non ha istinti, quindi necessita di dispositivi tecnici per sopravvivere. Oltre che da Platone è raccontata anche da Tommaso D'Aquino, da Kant, da Nietsche. Questo scenario riesce a capire che la tecnica in qualche modo completa l'uomo per essenza, perché all'uomo non compete l'istinto, questo codice che permette all'uomo di vivere.

Se la tecnica è la è la scienza dell'uomo, vediamo di vederla da vicino questa tecnica, che diventa oggetto di riflessione in Grecia nel V secolo a. C. con Eschilo, che mette in scena una tragedia che ha per titolo Prometeo incatena. Quando diciamo tragedia non dobbiamo pensare che il teatro antico è qualcosa che assomiglia al teatro odierno, il teatro greco non era un teatro dove si faceva ridere o piangere la gente, qualcosa che manifesta qualche cosa, si metteva in scena i problemi della città, problemi che avanzavano nella comunità, si mettevano in scena come una storia. E il problema che si eserciva era se è più forte la tecnica e sono più forti le leggi di natura, quale delle due è più forte?

La storia è quella di Prometeo che tutti conoscono, Prometeo è una semidivinità e per amore per gli uomini - lo chiamano filantropo - dona loro il fuoco, attraverso cui gli uomini possono manipolare le cose, adattarle ai loro bisogni, rendendo gli uomini da indifesi e muti - dice Eschilo - a padroni delle loro menti. Capaci di governarsi pur non avendo codici istintuali.

Naturalmente Zeus essendo un Dio teme la potenza degli uomini forniti di tecniche, incatena Prometeo a una roccia del Caucaso inviandogli un'aquila che gli rode il fegato, il quale si riforma per garantire l'eternità del supplizio. Attenzione, sotto i miti c'è sempre un sapere. Avevano già scoperto che il fegato è quell'organo che si riproduce continuamente, ogni mese o due noi cambiamo fegato, quindi il mito non solamente un racconto, una storiella, il mito sottintende sempre una qualche condizione, qualche sapere. A un certo punto il coro chiede: ma dimmi Prometeo è più forte la tecnica o la necessità che governa le leggi di natura?

Devo spendere un parola su cosa si intendeva per leggi di natura per i greci. La nostra cultura è sostanzialmente cristiana e quando pensa alla natura pensa alla natura come creatura di Dio e fa dipendere la forma, la struttura, le leggi di natura dalla volontà di Dio. Nella cultura cristiana la natura è così perché Dio ha voluto che sia così. La natura dipende da una volontà nella cultura cristiana. Una volontà che ha decretato le leggi di natura e poi Dio ha assegnato agli uomini il compito di dare il nome a tutte le cose le quali saranno - come dice la genesi - come tu Adamo le chiamerai. E il compito che Dio assegna agli uomini è quello di dominare sugli enti di natura. C'è questa mentalità che ci appartiene, credere o no in Dio non è assolutamente interessante, perché la cultura come forma psichica di pensiero è molto più decisiva di quanto non lo siano le fedi. Siamo tutti cristiani - come diceva Croce - per il fatto che pensiamo questa cosa. Pensiamo per es. che la natura sia una decisione voluta da Dio, la quale natura ha questa struttura invece che un'altra per effetti di una volontà.

I greci non pensavano così, per loro la natura era l'originario per cui - dice Eraclito - nessun Dio e nessun uomo fece, quindi è ciò che stà, con le sue leggi immutabili, governata da una delle categorie più potenti che la felicità ha pensato che è la categoria della ananke (necessità). Per cui il sole non può uscire dalla sua orbita senza sconquassi e sconvolgimenti: la natura è ciò che stà, e i greci studiando la natura tentano di ricavare quelle costanti a partire dalle quali è possibile creare le leggi nella città e a partire dalle quali è possibile desumere le forme attraverso cui si perviene al governo di se partendo dalla natura. Non c'è la sopranatura, non c'è nulla di soprannaturale, i greci non credono a nessun aldilà, non chiamano l'uomo neppure con i nomi che pure disponeva, non usano mai la parola uomo, Omero e Platone usano mortale. I greci hanno la consapevolezza del limite, concepiscono la natura come vicenda di innocenza e crudeltà, dove la vita degli uni avviene a scapito degli altri e l'uomo per quel breve tempo che ha da vivere deve reggere al dolore e cercare la felicità nel breve tempo che gli è concesso di vita. La natura è immutabile e gli uomini devono scoprire le leggi di natura che diventano le regole del governo della città e di sè. Questa è la impostazione greca per cui tutti quelli che vi dicono che Platone a proposito del cristianesimo è predecessore del cristianesimo non date ascolto, perché il modo di pensare greco non è il modo di pensare cristiano, c'è un abisso tra i due scenari e non solo a questo livello.

A un certo punto il coro chiede a Prometeo è più forte la tecnica o la natura, anzi la necessità che vincola la natura alle sue leggi. E la risposta di prometeo: La tecnica è più debole delle leggi che governano la natura e allora tutto va bene perché l'intervento della tecnica non modifica l'andamento della natura. Il motivo è ripreso anche da Sofocle che nell'Antigone dice che nave ferisce le acque del mare, ma la calma trasognata delle acque si ricompone dopo il passaggio della nave, così come l'aratro fende la terra, ma la terra si ricompone dopo il suo passaggio. Non c'è ferita tecnica che la natura non rimargini e sotto questo profilo il problema è risolto. Per quanto gli uomini dispongano di dispositivi tecnici, per quanto diventino meccanikoi - dice il testo di Eschilo - resta sempre il primato della natura sull'intervento tecnico dell'uomo. Risposta esatta solo in parte, perché la tecnica di cui disponevano i greci era molto modesta e quindi tale da non poter infrangere le leggi della natura e la natura resta comunque il paradigma, la regola in riferimento alla quale gli uomini potevano trarre spunto di come dovevano andare le cose.

Facciamo un salto di duemila anni e dal punto di vista tecnico non è cambiato u gran che. Se ci portiamo nel 1600 quando nasce al cosiddetta scienza moderna o scienza matematica, e qui facciamo due piccole riflessioni. Prima facciamo una annotazione: dobbiamo abbandonare anche la concezione che definisce l'uomo animale ragionevole, definizione molto nobile nella sua tradizione (animale che ha il linguaggio, che ha la ragione), non è vero perché l'uomo non è un animale perché gli manca quella prima prerogativa tipica degli animali che è l'istinto. Non è un animale che in più ha la ragione, ma proprio perché non è un animale ed è codificabile istintualmente si mette a ragionare per vivere. La ragione è un pò il compenso della carità istintuale.

Poi bisogna smontare un secondo pregiudizio e cioè c'è la persuasione che la scienza sia pura, la tecnica un sbottina a secondo dell'uso che se fa, non è vero, perché l'essenza della scienza è la tecnica, non nel senso che la scienza per poter produrre le sue scoperte abbia bisogno di dispositivi tecnici, ma perché lo sguardo scientifico non è puro; la scienza non studia per contemplare il mondo, la scienza studia per manipolare il mondo. Per cui la intenzione tecnica è già inscritta nella mentalità scientifica. Sarebbe come se in un bosco andasse un poeta e un falegname, non vedono la stessa cosa i due, uno vedrà gli alberi e l'altro vedrà i mobili. L'intenzione scientifica è già tecnica è già manipolativa, non si guarda il mondo per contemplarlo, la scienza non guarda il mondo per contemplarlo, ma per manipolarlo, per cui ribaltiamo il rapporto: la tecnica è l'essenza della scienza, non la conseguenza della scienza; lo sguardo scientifico è già condizionato dall'intenzione manipolativa.

Nel 1600 nasce la scienza moderna, la scienza matematica e qui una piccola riflessione e vi chiedo un piccolo sforzo, ma però senza sforzarci non va avanti il discorso. Nel 600 Galileo, Bacone, Cartesio proseguirono con un modello di scienza che tutt'ora è un modello attuale della scienza moderna che consiste in questo: mentre i greci - lo dice in particolare Bacone - contemplavano la natura nel tentativo di catturare le leggi di natura, le costanti della natura. Siccome non approda a gran che, capovolgiamo il rapporto: noi uomini, intesi come comunità scientifica, facciamo delle ipotesi sulla natura, poi sottoponiamo la natura a sperimentazione, se l'esperimento conferma le nostre ipotesi, noi assumeremmo le nostre ipotesi come leggi di natura. Kant illustra bene nell'introduzione in Critica della ragion pura, e parla a questo proposito di rivoluzione copernicana, cioè non è più la terra al centro del mondo, ma è il sole diceva Copernico il centro del mondo. Questo capovolgimento è ciò che accade nel 1600 dice Kant, perché mentre prima gli uomini, gli scienziati si comportavano nei confronti della natura come uno scolaretto che beve tutto quello che dice il maestro (beve tutto quello che la natura gli offre come immagine di sè), con il 600 - dice Kant - il rapporto si capovolge, l'uomo non si comporta più in confronto della natura come uno scolaretto che beve tutto quello che dice il maestro, ma come un giudice che obbliga l'imputato a rispondere alle sue domande. La comunità scientifica fa delle ipotesi, sottopone la natura a esperimento, la natura risponde all'esperimento, se l'esperimento conferma le ipotesi si assumono le ipotesi fatte dagli uomini come diritti di natura, non come leggi eterne, ma come leggi provvisorie di natura fin che non se ne trovano di più esplicative.

La scienza non teme di smentire se stessa a differenza di altre espressioni umane, a differenza della religione, se domani il Papa ci viene a dire che Dio non esiste da un collasso alla religione, nel senso che tutte le figure umane prevedono il negativo come l'escluso. Anche l'ideologia se nega se stessa collassa, lo abbiamo visto in questi anni; la scienza no, perché non assume le sue ipotesi come leggi eterne, ma come leggi provvisorie finché non se ne trovano di meglio. Se tutte le altre espressioni umane, religione, politica, ideologie sono la loro negazione, per la scienza, invece, sono incremento, se succede un disastro a Cernobil , nessuno dice che la tecnica e la scienza sono da bandire, ma invochiamo la scienza e la tecnica affinché pongano riparo al disastro. Per cui la negazione al disastro tecnico viene risalvato dalla tecnica; mentre il disastro ideologico non viene più salvato dall'ideologia, come il disastro religioso non viene più salvato dalla religione. La tecnica non prevede la sua negazione, la sua negazione è condizione di incremento di se medesima.

Fatta questa operazione ci si incomincia a immaginare gli scenari di città tecnologiche, abbiamo la Città del sole di Campanella, l'Utopia di Tommaso Moro, la Nuova atlantide dello stesso Bacone, in cui si immaginano città dove la tecnologia sostituisce la fatica e il lavoro dell'uomo. E qui attenzione, ancora una volta non pensiamo che la scienza sia antitetica alla religione, non facciamoci ingannare dalla storia enfatizzata della guerra tra il Papa e Galileo, non è così, perché la scienza gronda di metafore religiose, è una conseguenza dell'apparato teologico medioevale la scienza. Bacone dice chiaramente che attraverso la scienza e la tecnica che da ora non farò più distinzione fra scienza e tecnica, giustificato dal fatto che la tecnica è l'essenza della scienza. La scienza e la tecnica - dice Bacone - ci restituiranno le virtù preternaturali, quelle che Adamo aveva prima del peccato originale, ma soprattutto consentirà agli uomini di redimersi dal peccato originale. Il peccato originale aveva determinato nell'uomo due condizioni penose che sono: il sudore della fronte e il dolore a cominciare dal dolore del parto. La scienza e la tecnica riducendo le pene del peccato originale, cioè le fatiche del lavoro e riducendo il dolore, che è un'altra conseguenza, l'altra pena del peccato originale, concorre alla redenzione, perché voi sapete che la redenzione, si è stata inaugurata da Cristo, ma vuole anche il concorso umano da redimersi. Per cui la scienza vive la stessa mentalità religiosa che consiste nel dire che il passato è male, il presente è riscatto e il futuro è salvezza; questa è la triade religiosa che si trova pari pari nella triade scientifica: il passato è ignoranza (male), il presente riscatto e il futuro è progresso.

La differenza sarà nei contenuti, ma la prospettiva, la prospettiva è religiosa, la scienza vive una prospettiva religiosa. Del resto questo lo verifichiamo psicologicamente tutti quanti noi che ci rivolgiamo con la stessa attesa psicologica come una volta ci si rivolgeva a Dio. Quindi vuol dire che questa macchina è stata ben impiantata sullo scenario antropologico ben radicato. Ma di scenari religiosi vive anche l'utopia e la rivoluzione, per cui non sono io il primo a dirlo che il marxismo è nato con l'avversione del cristianesimo, niente di più e niente di meno, anzi Marx se si ricominciasse a studiarlo - dovremo aspettare tempi migliori - usa le stesse parole della bibbia - la classe operaia ha fame e sete di giustizia esattamente come il popolo di Israele - ma non è questa la rivoluzione e prevede che la situazione attuale sia male, l'atto rivoluzionario porta Ònuovi cieli e nuove terreÓ. La secolarizzazione, Dio quando è morto non ha lasciato solo opere, ma anche eredi e gli eredi della religione sono: la scienza, l'utopia e anche la rivoluzione.

Si fanno queste città, questi scenari tecnologici, però sono fantasie, perché nel 1600 la situazione non era mutata rispetto alla posizione greca, i dispositivi tecnici non erano particolarmente sviluppati rispetto all'epoca greca, di nuovo la tecnica non poteva infrangere le leggi di natura.

E qui vediamo una invenzione metodologica potentissima, l'uomo che fissa le leggi di natura; potentissima che ci consente di dire che l'umanesimo non è Lorenzo il Magnifico, non è il Debilitate ominis di Lorenzo Valla, l'umanesimo è la scienza, perché con la scienza l'uomo diventa - lo dice Cartesio - dominator et possessor mundi dominatore e padrone del mondo, questa è l'essenza dell'umanesimo. I letterati fanno decoro a questa situazione, ma il vero primato dell'uomo incomincia qui: l'uomo diventa padrone del mondo attraverso la competenza scientifica. La scienza è quinta essenza dell'umanesimo.

Facciamo un salto di atri due secoli e andiamo ad aprire un libro di Hegel, un libro di logica, dove troviamo un centinaio di pagine un pò strane e non è che c'entrano molto con la logica di Hegel che è un libro molto difficile e che a un certo punto dice due cose: la prima dice che la potenza della nazioni non dipende dai beni di cui le nazioni sono proprietarie o i singoli individui sono proprietari; la ricchezza d'ora innanzi si fonderà non sul possesso dei beni, ma sul possesso degli strumenti, perché i beni si consumano, mentre gli strumenti li producono dei beni. E qui vi anticipo questo scenario tecnologico, ma la cosa interessante è che Hegel dice queste cose nel 1816 quaranta anni dopo che era nata l'economia politica 1776 con quel libro di Adam Smith sull'origine della natura e della ricchezza delle nazioni. L'economia politica è una cosa importante, perché l'economia è la forma più alta allora raggiunta dalla razionalità, il bene del furto, dello scambio, del dono, si introduceva lo scambio per gli uomini, anzi la stessa parola ragione nasce originariamente in un contesto economico, la ragione non è altro la ratio che io ti devo dare quando tu mi dai qualcosa: tu mi dai un vitello, la ratio di questo vitello sono cinque capretti, dammi l'equivalente. In questo senso l'economia è una forma di razionalizzazione della relazione dello scambio dei beni che non avvengono più o nella forma della rapina, del furto e nella forma del dono che sono tutte dimensioni non razionali, ma nella forma dello scambio dell'equivalente.

Rispetto all'economia la tecnica è una razionalità ancora più perfetta, perché l'economia soffre ancora di una passione umana che è la passione per il denaro di cui la tecnica non soffre minimamente. E di questa spassionatezza della tecnica vedremo dopo gli effetti.

Seconda posizione di Hegel, che forse è ancora più importante della prima, la prima è anticipatore del futuro, la seconda è strutturale, dice Hegel: Attenzione che quando si ha un aumento quantitativo di un fenomeno, si ha la variazione qualitativa del paesaggio. Vuol dire che se qui cadono quattro gocce piove, se invece viene una alluvione cambia il paesaggio. Anzi l'esempio di Hegel è ancora più elementare: se mi tolgo un capello sono uno che ha i capelli, se ne tolgo due sono uno con i capelli, se ne tolgo tre sono uno con i capelli, se li tolgo tutti sono calvo. Quindi l'aumento della quantità è una variazione della qualità.
Questo teorema che essendo così evidente viene subito catturato da Marx e applicato all'economia, Marx dice: tutti sono convinti che il denaro sia un mezzo per raggiungere determinati fini che sono la soddisfazione di bisogni e la produzione dei ben, però - dice Marx - se il denaro è la condizione universale per soddisfare qualsiasi bisogno e per produrre qualsiasi bene, allora il denaro non è più un mezzo, diventa il primo fine e per accaparrarsi il quale si vedrà se soddisfare i bisogni e in che misura produrre beni. Se aumenta quantitativamente il significato del denaro da diventare la condizione per soddisfare qualsiasi bisogno e per produrre qualsiasi bene, se il denaro ha questo aumento quantitativo, di riconoscibilità e di assegnazione di valore, allora il denaro non è più un mezzo, ma diventa il primo fine e per realizzare il quale si vedrà se soddisfare i bisogni e se produrre beni.

Marx esprime questo teorema nel tredicesimo libro del Capitale, possiamo dire che la tecnica è la condizione universale per realizzare qualsiasi scopo, la tecnica non è più un mezzo, ma il primo scopo che tutti vogliono perché senza il possesso della tecnica nessuno scopo è realizzabile nel senso che gli scopi diventano sogni se non c'è il dispositivo tecnico che consente di realizzarli. L'esempio palese l'abbiamo avuto con il collasso dell'Unione Sovietica 15-16 anni fa e ci portiamo nel 1960 e la tecnica sovietica era uguale alla tecnica capitalistica, il primo uomo nello spazio è stato mandato dall'Unione Sovietica, una equivalenza del dispositivo tecnico non consentiva di usare il collasso dello scopo, il comunismo a diffusione mondiale, di contro il capitalismo a diffusione mondiale. Ma quando la tecnica sovietica è arrivata a un livello tale di non poter più raggiungere la tecnica americana, anche lo scopo del comunismo e venuto a meno è collassato.

Io non credo che il crollo dell'Unione Sovietica sia avvenuta per ragioni antropologiche, come la perdita della libertà, la fame e così via, non sono mai questi i motivi per cui collassa una cosa, fra un paio d'anni potrebbe collassare di nuovo, visto che il crollo del comunismo non è che ha portato benessere e ricchezza. Il concetto è un altro, se tecnica è la condizione per arrivare a uno scopo, il collassare del mezzo fa si che lo scopo diventi un sogno, una fantasia col quale non riesce a tenere il regime della storia. Questo ha delle rilevanze tremende in tutti gli scenari, il primo scenario è la politica. Noi già oggi assistiamo che la politica non è più il luogo della decisione, aldilà delle messe in scena non è più il luogo delle decisioni, la politica per decidere deve guardare un altro scenario che si chiama economia. A sua volta l'economia deve guardare a un'altro scenario che è il dispositivo tecnico, quanta tecnologia abbiamo, di quante capacità tecnologiche disponiamo, dove conviene investire in innovazione tecnologiche? La politica decade come luogo della decisione, perché diventa più decisiva l'economia, l'economia a sua volta sceglie a partire dalla disponibilità tecnologica, per cui già la tecnica tiene sotto banco l'apparato decisionale.

Questo fa pensare a una fine della politica evidentemente, non bisogna pensare che ci siano delle categorie eterne, la politica nasce nel 400 a. C. ad Atene, nata e cresciuta faticosamente e forse sta finendo. Non solo, anche perché è cambiata la struttura del potere, finora abbiamo visto la politica che assomiglia a un triangolo dove al vertice c'è il potere, alla base c'è l'osservanza e non osservanza dei dispositivi del potere. Da una parte si comanda e dall'altra si ubbidisce o disubbidisce, quello è un po' il modello arcaico che funzionava fino all'età pretecnologica, oggi non funziona più, perché la tecnica distribuisce il potere a tutti gli operatori, tutti coloro che operano nel triangolo hanno la possibilità di godere di un piccolo potere sufficiente a far saltare tutto l'apparato. È sufficiente che dieci controllori di volo interrompano la loro attività che tutta la navigazione aerea si blocca. L'Apparato funziona se tutti i segmenti dell'apparato compiono il loro lavoro, basta che uno si blocchi che si interrompe tutto l'apparato. Su questo profilo la tecnica è molto democratica, un potere che gli americani hanno ben individuato e hanno chiamato Òil potere di non fareÓ. Questo fa si che se fossero i partiti ad abitare nella casa della tecnica voi capite che l'unica politica idonea se ciò è vero, ma è vero, non è mai la politica decisionista, ma è sempre la politica mediazionale. Si è sempre inneggiato al decisionismo dall'epoca di Craxi in poi, ma all'età della tecnica il decisionismo conta proprio niente. Conta la mediazione continua, se tutti sono depositari di un piccolo potere dalle enormi conseguenze, allora bisogna chiaramente mediare con i depositari del potere che siamo un po' tutti noi.

Ma la cosa più tremenda con la venuta l'apparato tecnoscientifico, credo sia la fine della democrazia e non perché venga una dittatura che, rispetto alla tecnica è molto grossolana, Stalin, Mussolini. Hitler sono grossolani, perché sono condizioni che non possono più accadere in occidente, la cultura tecnologica non consente più di pensare che un uomo risolva tutti i problemi, solo i paesi arretrati hanno questa fantasia, ma al di fuori di quelli, nella cultura occidentale non si ipotizza più. Perché i dispositivi tecnici di cui più o meno sono tutti competenti, sappiamo che la rete tecnologica è tale che il controllo di questa rete non è consentito a nessuno e vedremo questo il perché. La tecnica ci pone dei problemi che rispetto ai quali noi siamo del tutto incompetenti, se mi dovessero far votare circa l'apertura o chiusura degli impianti nucleari, per votare con competenza dovrei essere un fisico nucleare e non lo sono, allora voto sulla base di suggestioni psicologiche: paura del nucleare, appartenenze politiche, effetti retorici, dimensioni fideistiche, me lo dice il Papa. Il Papa on si è ancora espresso sul nucleare ma si è espresso su tanti scenari tecnico-scientifici, nel referendum che abbiamo fatto era uno scenario tecnico-scientifico di cui molti erano incompetenti. La democrazia collassa e viene sostituita dalla retorica che non è la competenza.

Nella Repubblica, Platone ci racconta che c'era bisogno di navi per fare la guerra ai persiani e allora si rivolge ai tebani e chiede gli alberi del monte Citereo, i tebani acconsentono dicendo che gli ateniesi onorano gli acquisti, pagano bene, però ricordate che una volta disboscato il monte Citereo avrete un aumento della bora e dal porto di Atene le navi partiranno con molta difficoltà. Problemi che tutti capiscono, ma se si chiede: bisogna fare o non gli organismi geneticamente modificati non è facile decidere, bisogna essere un biologo molecolare. Fecondazione tecnicamente assistita, come faccio a decidere? Certo, criteri di libertà, si vuole vietare agli altriÉ.Il problema è che la tecnoscienza ci scaraventa dei problemi rispetto a cui non possiamo essere democratici perché non capiamo il problema, perché non abbiamo competenza sufficiente intorno a quel problema e quindi diventiamo vittime della retorica, della persuasione, Berlusconi questo forse non l'ha intuito gli è capitato che l'effetto retorico è più quotato che l'effetto della competenza.

E questo è pericoloso, se pensate che Platone dedica ben 12 su 36 dialoghi ai riti dei sofisti i quali ottengono il consenso attraverso la seduzione degli animi e contro questa ipotesi seduttiva dei retori e contro la falsificazione di sillogismi attraverso cui si fa un passaggio ingannevole, lo vediamo oggi con la legge elettorale, si fa un passaggio ingannevole. Chi ha un voto in più ha vinto? Platone volendo fondare la democrazia in Atene cosa che è un esempio della filosofia la democrazia, la Repubblica di Platone se la prende appunto con i retori e i sofisti perché corrompono gli animi, li seducono e quindi gli vietano l'uso della ragione. Operazione possibile all'epoca di Platone, educare gli uomini a ragionare, invece che commuoverli o affascinarli. Oggi questo non è più possibile, perché il livello di competenza dei prodotti tecnico-scientifici è tale Éio non sono competente per cui mi lascerò inevitabilmente sedurre per prendere posizione. In questo senso io la vedo brutta per la democrazia per ragioni di incompetenza, cioè è una fine strutturale, non perché si è democratici o antidemocratici, ma perché non si è più all'altezza della decisione, perché il problema che ci si pone è aldilà della nostra competenza.

Questo è un pò lo scenario di sfondo della politica, le stesse cose si possono dire a proposito della morale, la scienza ci pone dei problemi rispetto cui la morale annaspa. Io ho fatto parte della commissione sulle cellule staminali tre anni fa con quella cosa che io eliminerei dalla faccia della terra che si chiamano comitati bioetici, dove ci sono un pò di scienziati che se ne intende, qualche teologo, perché ci vuole la parola di Dio, poi i filosofi che in morale hanno una sensibilitàÉ.Io mi sono informato, ci ho messo quindici giorni a capire cosa sono le cellule staminali, dove si possono prendere, la mia competenza dipendeva dalla narrazione degli scienziati, i quali potevano raccontarmi quello che volevano e dopo di che io dovevo esprimere un giudizio. Lo ho espresso naturalmente, perché poi e ovvio: si devono usare le cellule staminali, ma non è per competenza che dico queste cose. I comitati bioetici sono gestiti da coloro che sanno, poi c'è la retorica che dice al popolo si, no; c'è la fede che dice al popolo si, no, ma è brutto che la storia vada avanti a colpi di irrazionalità e di prese di posizioni ideologiche e però ci troviamo ormai in questa situazione.

La morale che cosa ci può fare? Per farla breve noi in occidente sostanzialmente abbiamo conosciuto tre tipi di morale, la prima è la morale cristiana, sulla morale cristiana si è fondato tutto l'ordinamento giuridico europeo: tu sei imputabile a partire dall'intenzione della tua azione. Che intenzione hai quando compi un'azione? E sull'intenzione ti giudico colpevole o innocente. Anche l'ordine giuridico quando uno compie un delitto si guarda se di quel delitto sei colpevole, oppure un giudizio colposo, un giudizio intenzionale, un delitto preterintenzionale, è l'intenzione dell'attore sociale ciò che viene giudicato. Questa morale che si chiama morale dell'intenzione, nell'età della tecnica non serve proprio a niente, perché che intenzione avesse Fermi quando ha inventato la bomba atomica a me non interessa niente, mi interessano gli effetti della bomba atomica, non che intenzione aveva lui.

Un'altra morale che è stata fondata è quella laica di Kant, che non si è mai realizzata naturalmente, per dirla in una battuta egli dice: l'uomo va trattato sempre come un fine, mai come un mezzo. Non è vero. Non si è mai realizzata perché tutti abbiamo esperienza che abbiamo diritto all'esistenza solo se siamo produttori di beni, i quali sono i veri fini. Noi siamo giustificati nella nostra esistenza, lavoriamo e prendiamo uno stipendio solo se diventiamo produttori di beni, forse la condizione nostra è privilegiata perché siamo occidentali, ma guardare alla sorte di un impiegato, di un emigrato è giustificata la sua esistenza se si diventa produttori di beni.

L'uomo è da trattare sempre come un fine e mai come un mezzo, in realtà è trattato sempre come un mezzo in vista di quel fine che si chiama produzione dei beni, perché come oggi nella nostra cultura il denaro è diventato unico generatore di beni, è ovvio che il fine è il denaro e non sono gli uomini e le loro sorti. Ma se anche si fosse realizzata l'etica laica di Kant, non sarebbe all'altezza dell'età della tecnica. Cosa vuol dire che l'uomo è un fine? Vuol dire che tutte le altre cose sono mezzi, ma nell'età della tecnica tutte le altre cose davvero possono essere trattate come mezzi? Oggi l'aria è un mezzo o è un fine da salvaguardare? L'acqua è un mezzo o un fine da salvaguardare? Le foreste sono mezzi? Ciò per cui venivano praticati erano mezzi perché gli uomini erano pochi e la terra era grande, adesso non sono più mezzi, sono fini. Per cui anche nell'impostazione kantiana l'uomo è da trattare sempre come un fine e mai come un mezzo, quindi tutte le altre cose si possono trattare invece come mezzi, tra l'altro di derivazione biblica Òdominerai su tutte le cose, dalle acqueÉ.Ónon è all'altezza dell'età della tecnica.

Nel 1910 Max Weber pensa a una terza forma etica ad una morale che lui chiama Òdella responsabilitàÓ. Dice Weber: l'etica delle intenzione non serve a niente in una età che diventa sempre più tecnologica e quindi noi non dobbiamo più guardare le intenzioni degli uomini quando compiono le loro azioni, ma gli effetti delle loro azioni. Non è che la tecnica abbia degli scopi, che l'apparato scientifico funzioni supponiamo della formula: dobbiamo trovare rimedio al cancro, quindi giù tutti gli scienziati a far ricerche. Se qualcuno dei presenti fa lo scienziato può dare la testimonianza che le procedure sono tutt'altro. Io biochimico, biologo molecolare lavoro su questa cellula per dieci o vent'anni in modo da sapere da questa cellula tutto quello che si può saper, indipendentemente da qualsiasi scopo. Tu lavori per quest'altra cellula per dieci o vent'anni per sapere tutto quello che si può sapere senza nessuno scopo, se poi dalla combinazione di queste competenze può saltare fuori qualcosa che torni vantaggiosa all'uomo, - questo non è sufficiente - è anche economicamente vantaggioso, - perché rimedi per salvare la gente dalla sifilide o dalle malattie più elementari le abbiamo trovate, ma non sono economicamente vantaggiose - allora accade qualcosa di antropologicamente vantaggioso, ma solo se lo è economicamente, dal punto di vista tecnico non è che la tecnica si ponga degli scopi, l'etica della tecnica è di sapere tutto ciò che si può sapere prescindendo dagli scopi.

La tecnica non ha scopi, l'unico scopo della tecnica è il suo autopotenziamento il più possibile e ciò che tutti vogliono è che la tecnica possa disporre del maggior quantitativo dispositivo tecnico più perfezionato possibile. La prova evidente che le cosa vadano così: voi pensate che i dispositivi atomici che abbiamo sono sufficienti per distruggere la terra diecimila volte, mi pare sufficiente no come scopo? Però questo non ha fermato il perfezionamento del dispositivo atomico, si va avanti per vedere come si può fare meglio questa operazione, il che significa che la tecnica tende all'autopotenziamento prescindendo dagli scopi. Non c'è nessuno che possa controllare la tecnica, anche le fantasie che facevamo nel sessantotto sul potere, si, ci sarà un potere politico, un potere economico, ma un potere tecnicoÉ sulla tecnica non c'è un potere, anche qui per ragioni di competenza.

In america sono nate riviste divulgative, non per noi che non capiremmo niente, ma per consentire al fisico che sta facendo la ricerca di parlare con un fisico - siamo nell'ambito della fisica - che sta facendo un'altra ricerca che se parlassero direttamente non capirebbero che cosa stanno facendo l'un l'altro. Nascono delle riviste di traducibilità per consentire a due fisici di intendersi, pensate tra un fisico e un chimico, tra un chimico e un biochimico, un biochimico e un genetista: chi controlla la tecnica, nessuno controlla la tecnica.

Se queste sono le punte avanzate ciò da cui poi cascano le scoperte, quelli di cui noi dopo discutiamo OGM, di utilizzi per l'atomica, per produrre energia, fecondazione assistita, e ci sono le ricadute finali. C'è ancora un maggiore controllo, che non è un controllo etico, è un controllo economico, cosa mi rende questa ricerca se la finanzio? Però questo controllo economico riesce a percepire il vantaggio e lo svantaggio quando la ricerca è arrivata nelle prossimità dell'applicazione: quella che si chiama ricerca applicata. La ricerca applicata non è interessante, ormai siamo alla fine del processo, quello che è interessante è la ricerca di base che i paesi furbi finanziano, noi non la finanziamo così diventeremo sempre più dipendenti da tutte le scoperte che faranno gli altri. La genetica per esempio che è tutt'uno con la medicina cade all'ultimo posto. L'informazione diventa la condizione della democrazia, noi non abbiamo un giornalismo scientifico, se si spende per una pagina di Repubblica la si spende per la pillola della felicità e non certo per la genetica, andando avanti di questo passo, siamo quello che siamo e diventeremo economicamente dipendenti, ma questo non è interessante da mio punto di vista.

Noi disponiamo di un'etica all'altezza dell'età della tecnica, per cui l'etica ai miei occhi diventa patetica, cioè implora la tecnica che pu, di non fare ciò che può, e non si è mai visto nella storia che chi può non faccia ciò che può, se si può si fa. Queste battaglie di retroguardia sulla fecondazione assistita: se si può si fa, ma non che si fa perché si deve fare, perché tutto ciò che è possibile si fa. L'etica che chiede alla tecnica che può di non fare ciò che può, nella storia mi pare che non si sia mai visto, di questa implorazione abbia qualche effetto anche in altri scenari.

Io faccio incominciare l'età della tecnica dalla seconda guerra mondiale, non nel senso che prima non ci fosse nell'industria reparti tecnologici, si c'era tutto più o meno, non così perfezionato, però io mi baso su un fatto che per me è quello decisivo per cui siamo entrati davvero nell'età della tecnica che è il seguente: la suggestione di un filosofo sconosciuto che io cerco di far conoscere a tutti i costi in Italia con grande difficoltà perché gli editori dei morti se ne fregano ed è Gunther Anders, personaggio eccezionale, figlio di due psicologi che per sfuggire al nazismo è andato in America e lì invece di fare il privilegiato è andato a lavorare alla Ford, e lì ha capito che prima di tutto le macchine sono più perfette degli uomini, per cui gli uomini avranno legittimità a questo mondo se diventeranno simil-macchine e sviluppa questi concetti in maniera molto robusta. Concetti che poi sono noti per una ragione molto elementare, che lui queste cose le raccontava a sua moglie che era Anna Arent la quale le scriveva, perché tutti conoscono Anna Arent compreso la Òbanalità del maleÓ che è invece una espressione di Gunther Anders e non conoscono la fonte di questo pensiero.

Questo filosofo considera l'esperimento nazista quello che ha stravolto la storia, non perché - dice lui - ha ucciso sei milioni di ebrei, zingari e omosessuali, ma perché l'esperimento tragico del nazismo è consistito nel fatto che si è costruito un apparato in cui il singolo operatore non rispondeva dello scopo finale del nazismo, rispondevano del loro lavoro. Quando prendono qualche generale nazista e lo processano, la risposta rituale è: io ho ubbidito agli ordini. Dal punto di vista della mentalità della tecnica questa risposta è corretta, e allora l'esperimento nazista - dice Gunther Anders - è un teatrino di provincia di quel grande scenario che sarà l'età della tecnica.

Leggevo un libro dove viene intervistato il direttore del campo di concentramento di Treblinca e gli chiede: ma tu quando ammazzavi la gente cosa provavi? Lui resta sconvolto, ma non capisce. Io avevo un compito - dice - che alle undici arrivava un convoglio con cinquemila persone che dovevano essere soppresse entro le tre perché arrivava il secondo convoglio e si poteva intasare il piazzale, io dovevo semplicemente eseguire gli ordini, questo è il mio lavoro.

La tecnica ci mette in apparati di cui non conosciamo le finalità e siamo giudicati buoni o cattivi a seconda che all'interno dell'apparato eseguiamo bene o male le azioni che sono descritte e prescritte, quello che si chiama il mansionario, la professionalità, parole terribili queste. Lavoro, anche qui si dice: quando abbiamo finito il lavoro, ma attenzione alla parola lavoro. Usciamo pure dallo scenario del nazismo che è uno scenario da prendere in punta di piedi, ma portiamoci nel bresciano dove si costruirono le mine antiuomo e forse si costruiscono ancora, chi opera lì è un operaio o un delinquente? Io penso di poterlo ancora chiamare operaio, perché nell'ipotesi che gli offrissi uno stipendio per lavorare a una catena alimentare mi direbbe di si. Questo vuol dire che lui non è responsabile di quel prodotto finale che lui costruisce, lui è responsabile della buona esecuzione del suo lavoro.

Sempre Gunther Anders ha scritto due belle lettere una a quel pilota che ha bombardato Hiroshima, da cui ha avuto quella risposta tragica alla domanda di cosa aveva provato a sganciare la bomba, il pilota ha risposto: niente, questo è il mio lavoro. Siccome io sono un frammento nell'apparato, gli scopi finali dell'apparato mi sono ignoti, e anche se mi fossero noti non ne sono responsabile. Supponiamo che la BNL a suo tempo avesse finanziato le armi a Saddam Hussein, l'impiegato è responsabile dello scopo finale della BNL? No, la tecnica ci pone ad un livello di assoluta irresponsabilità, traduce un comportamento umano dall'agire al fare; agisco quando ho uno scopo rispetto a cui compio azioni, faccio quando eseguo bene o male le azioni che mi sono prescritte dall'apparato senza alcuna responsabilità finale. Questo vuol dire l'essere entrato in una età della tecnica di cui l'esperimento nazista è stato l'incipit. Adesso questo è su vasta scala, quando voi investite i vostri risparmi in borsa, sapete gli scopi finali delle aziende che finanziate? Perché le vostra competenza è solamente in questo 100 e speriamo che fra dieci anni di avere 105, questa è la vostra competenza, ma vi esonerate dallo scopo finale e non potete neanche qualora voleste saperlo, lo scopo finale non lo potete sapere, sfugge dalla vostra visibilità. In questa traduzione radicale dall'agire al fare, per cui questa diffusione radicale della irresponsabilità finale sugli scopi ultimi, questo significa essere entrati nell'età della tecnica.

Heidegger che era un nazista, ma era anche un filosofo intelligente (ogni tanto capita), diceva nel 1956 in un libricino dice che: inquietante non è che il mondo si sia risolto in un unico apparato, ancora più inquietante è che non siamo affatto preparati e non e che riusciamo ad adattarci davvero a questo scenario, ma cosa più radicale è che non disponiamo di una forma di pensiero che non sia un pensiero come calcolo e non disponiamo di altri tipi di pensiero per poter ostacolare l'accadimento tecnico. Perché la tecnica non passa come il vento e poi si lascia la terra immutata, la tecnica ci modifica intellettualmente, ci abitua a ragionare in termini di utile e inutile, che cosa è santo, che cosa è buono, che osa è giusto, che cosa è bello, diventa un discorso immaginario. L'obiezione è malata e non può essere un contratto della tecnica, no, perché il mondo non si muove artisticamente, si muove tecnicamente, si l'atre diventa un ornamento degli apparati tecnici, non è ciò che attorno accade al mondo.

Allora ci modifica mentalmente, ci costruisce per es. un'intelligenza di tipo binario capace di dire1,0,si, no, al massimo non so, cioè non sono competente, ci toglie il pensiero problematico che è stata la forma della intelligenza umana; era bello impostare i problemi e risolverli e se non si trovava la soluzione si ribaltava il problema dando un'altra formulazione al problema. Noi oggi, invece, ci muoviamo all'interno del simbolo non so, a cui ci allena quotidianamente la televisione, perché c'è un servizio alle operazioni conformistiche, di abbattimento dell'intelligenza e poi è diventata anche una delle prove di maturità. E poi un modificazione tipica del pensiero ad opera della televisione, ma la televisione modifica anche i nostri sentimenti che sono a stretto ambito a stretta circoscrizione. Se muore mio fratello piango, se muore il mio vicino di casa faccio le condoglianze, ma mi dicono che ogni minuto muoiono cinquecento bambini al modo a questo punto dico che è una statistica e non mi commuovo, non ce la faccio, non sono all'altezza. Il troppo grande mi lascia indifferente, se adesso in Pakistan sono morte centocinquantamila persone, mi dispiace, ma non soffro, non sono in grado, non ho capacità psichiche per arrivare a questo tipo di dolore, ma tecnica mi scarica attraverso il processi di comunicazione il dolore del mondo, rendendomi praticamente apatico e insensibile, perché il troppo grande non riscuote più nessuna movenza.

Che cosa posso fare io veramente per modificare le cose, quindi c'è una impotenza dell'individuo, una forma di conformismo sempre più generalizzato, non abbiamo più bisogno del fascismo o del comunismo, di queste forme grossolane di dittatura, la dittatura si determina attraverso questa operazione di responsabilità generalizzata, di conformismo sempre più diffuso, riduzione dell'impatto sentimentale, riduzione della vitalità cerebrale attraverso un codice binario che è poi il codice del computer, sempre le stesse cose e così non abbiamo bisogno che qualcuno ce le imponga, facciamo come fanno tutti e questa è la condizione migliore, non fascismo morbido è sbagliato parlare di fascismo, ma di umanità insignificante dove i fatti rivoluzionari non sono più praticabili, non è più possibile la rivoluzione, perché la rivoluzione è possibile quando c'è conflitto fra due volontà, gli Agnelli e gli operai due volontà antitetiche, facciamo la rivoluzione, ma adesso sia Agnelli che gli operai della Fiat sono sullo stesso piano rispetto all'altra dimensione per la razionalità del mercato di cui soffre sia l'operaio che il padrone, quindi non c'è più il conflitto fra due volontà che è la macchina rivoluzionaria, ma c'è la subordinazione delle due volontà a un tecniconflitto, e quindi capace di rivoluzione e di reazione, la subordinazione delle due volontà a quella forma anonima razionale che si chiama mercato rispetto al quale i due sono vittime, per questo la rivoluzione non è più possibile.