L'UOMO NELL'ETÀ DELLA
TECNICA
Lezione magistrale di Umberto Galimberti
Giovedì 13 ottobre 2005 - ore 20,45
Siamo ancora persuasi che la tecnica sia un mezzo nelle mani
dell'uomo e quindi che l'uomo abbia ancora un governo della tecnica,
probabilmente le cose non stanno più così. Nel senso che
forse l'uomo - il forse lo dico per delicatezza - nel senso che l'uomo
non più il soggetto della storia, ma la tecnica è
diventato il soggetto della storia e l'uomo è diventato un
funzionario dell'apparato tecnico. Questa è la tesi che vediamo
d illustrare. C'è un senso in cui è possibile dire che la
tecnica in qualche modo è nemica dell'uomo, e questo è
dovuto al fatto che fra tutti gli esseri viventi l'uomo è
l'unico Òanimale Ò che non ha istinto e quindi supplisce
a questa carenza istintuale con dispositivi tecnici. L'istinto è
una risposta rigida a uno stimolo; se io faccio vedere una bistecca a
una mucca, la mucca neanche la vede, perché l'istinto della
mucca la porta a mangiare l'erba e questo fa si che ogni animale sia in
qualche modo armonico al suo ambiente, sa come vivere pilotato
dall'istinto che è un codice rigido. L'uomo non ha questo codice
e non ha istinti, anche i famosissimi istinti sessuali quel poco
istintivo che io in presenza a una spinta sessuale, posso concedermi a
tutte le perversioni, cosa che non sembra consentita agli animali.
Così come posso anche assegnarmi in funzione di una pulsione
sessuale, assegnarmi una meta non sessuale tipo un'opera d'arte. Quindi
questa imprecisione biologica, questa non codificazione che è al
fondamento della libertà umana, l'uomo è libero
perché è biologicamente carente, perché non
è codificato come gli animali da un apparato istintivo rigido,
fa si che per vivere l'uomo deve immediatamente organizzarsi
tecnicamente, anzi possiamo parlare di uomo nell'albero degli
antropologi compreso anche le scimmie; posiamo parlare di uomo
là dove incomincia il dispositivo tecnico che supplisce
quell'insufficienza biologica che è il codice istintuale.
Per vivere l'uomo deve darsi da fare e attraverso la tecnica
supplisce la carenza di codici istintuali, questa tesi è
sostenuta da Platone, il quale nel Protagora racconta mitologicamente
che Zeus aveva affidato a Itimeteo, fratello di Prometeo - Itimeteo
vuol dire: quel che pensa dopo, quindi lo stupido, l'improvvido a
differenza di Prometeo che è quello che prevede - il compito di
dare a tutti i viventi la loro qualità. Infatti Ipimeteo chiede
a larghe mani tutti gli animali il loro istinto, giunto all'uomo non
aveva più alcuna qualità, allora Zeus preso pietà
di questo vivente, incaricò Prometeo, - colui che vede in
anticipo prometis (pensa prima) - di dare agli uomini la sua
virtù che è quella di anticipare.
Infatti anche Hobbes nel 1600, dice che mentre gli animali mangiano
quando hanno fame, l'uomo è affamato anche della cultura,
perché anticipa, perché prevede che avrà fame
anche quando è sazio. Questa tisi che l'uomo non ha istinti,
quindi necessita di dispositivi tecnici per sopravvivere. Oltre che da
Platone è raccontata anche da Tommaso D'Aquino, da Kant, da
Nietsche. Questo scenario riesce a capire che la tecnica in qualche
modo completa l'uomo per essenza, perché all'uomo non compete
l'istinto, questo codice che permette all'uomo di vivere.
Se la tecnica è la è la scienza dell'uomo, vediamo di
vederla da vicino questa tecnica, che diventa oggetto di riflessione in
Grecia nel V secolo a. C. con Eschilo, che mette in scena una tragedia
che ha per titolo Prometeo incatena. Quando diciamo tragedia
non dobbiamo pensare che il teatro antico è qualcosa che
assomiglia al teatro odierno, il teatro greco non era un teatro dove si
faceva ridere o piangere la gente, qualcosa che manifesta qualche cosa,
si metteva in scena i problemi della città, problemi che
avanzavano nella comunità, si mettevano in scena come una
storia. E il problema che si eserciva era se è più forte
la tecnica e sono più forti le leggi di natura, quale delle due
è più forte?
La storia è quella di Prometeo che tutti conoscono, Prometeo
è una semidivinità e per amore per gli uomini - lo
chiamano filantropo - dona loro il fuoco, attraverso cui gli uomini
possono manipolare le cose, adattarle ai loro bisogni, rendendo gli
uomini da indifesi e muti - dice Eschilo - a padroni delle loro
menti. Capaci di governarsi pur non avendo codici istintuali.
Naturalmente Zeus essendo un Dio teme la potenza degli uomini
forniti di tecniche, incatena Prometeo a una roccia del Caucaso
inviandogli un'aquila che gli rode il fegato, il quale si riforma per
garantire l'eternità del supplizio. Attenzione, sotto i miti
c'è sempre un sapere. Avevano già scoperto che il fegato
è quell'organo che si riproduce continuamente, ogni mese o due
noi cambiamo fegato, quindi il mito non solamente un racconto, una
storiella, il mito sottintende sempre una qualche condizione, qualche
sapere. A un certo punto il coro chiede: ma dimmi Prometeo è
più forte la tecnica o la necessità che governa le leggi
di natura?
Devo spendere un parola su cosa si intendeva per leggi di natura
per i greci. La nostra cultura è sostanzialmente cristiana e
quando pensa alla natura pensa alla natura come creatura di Dio e fa
dipendere la forma, la struttura, le leggi di natura dalla
volontà di Dio. Nella cultura cristiana la natura è
così perché Dio ha voluto che sia così. La natura
dipende da una volontà nella cultura cristiana. Una
volontà che ha decretato le leggi di natura e poi Dio ha
assegnato agli uomini il compito di dare il nome a tutte le cose le
quali saranno - come dice la genesi - come tu Adamo le chiamerai. E il
compito che Dio assegna agli uomini è quello di dominare sugli
enti di natura. C'è questa mentalità che ci appartiene,
credere o no in Dio non è assolutamente interessante,
perché la cultura come forma psichica di pensiero è molto
più decisiva di quanto non lo siano le fedi. Siamo tutti
cristiani - come diceva Croce - per il fatto che pensiamo questa cosa.
Pensiamo per es. che la natura sia una decisione voluta da Dio, la
quale natura ha questa struttura invece che un'altra per effetti di una
volontà.
I greci non pensavano così, per loro la natura era
l'originario per cui - dice Eraclito - nessun Dio e nessun uomo fece,
quindi è ciò che stà, con le sue leggi immutabili,
governata da una delle categorie più potenti che la
felicità ha pensato che è la categoria della ananke
(necessità). Per cui il sole non può uscire dalla sua
orbita senza sconquassi e sconvolgimenti: la natura è ciò
che stà, e i greci studiando la natura tentano di ricavare
quelle costanti a partire dalle quali è possibile creare le
leggi nella città e a partire dalle quali è possibile
desumere le forme attraverso cui si perviene al governo di se partendo
dalla natura. Non c'è la sopranatura, non c'è nulla di
soprannaturale, i greci non credono a nessun aldilà, non
chiamano l'uomo neppure con i nomi che pure disponeva, non usano mai la
parola uomo, Omero e Platone usano mortale. I greci hanno la
consapevolezza del limite, concepiscono la natura come vicenda di
innocenza e crudeltà, dove la vita degli uni avviene a scapito
degli altri e l'uomo per quel breve tempo che ha da vivere deve reggere
al dolore e cercare la felicità nel breve tempo che gli è
concesso di vita. La natura è immutabile e gli uomini devono
scoprire le leggi di natura che diventano le regole del governo della
città e di sè. Questa è la impostazione greca per
cui tutti quelli che vi dicono che Platone a proposito del
cristianesimo è predecessore del cristianesimo non date ascolto,
perché il modo di pensare greco non è il modo di pensare
cristiano, c'è un abisso tra i due scenari e non solo a questo
livello.
A un certo punto il coro chiede a Prometeo è più forte
la tecnica o la natura, anzi la necessità che vincola la natura
alle sue leggi. E la risposta di prometeo: La tecnica è
più debole delle leggi che governano la natura e allora
tutto va bene perché l'intervento della tecnica non modifica
l'andamento della natura. Il motivo è ripreso anche da Sofocle
che nell'Antigone dice che nave ferisce le acque del mare, ma la calma
trasognata delle acque si ricompone dopo il passaggio della nave,
così come l'aratro fende la terra, ma la terra si ricompone dopo
il suo passaggio. Non c'è ferita tecnica che la natura non
rimargini e sotto questo profilo il problema è risolto. Per
quanto gli uomini dispongano di dispositivi tecnici, per quanto
diventino meccanikoi - dice il testo di Eschilo - resta sempre il
primato della natura sull'intervento tecnico dell'uomo. Risposta esatta
solo in parte, perché la tecnica di cui disponevano i greci era
molto modesta e quindi tale da non poter infrangere le leggi della
natura e la natura resta comunque il paradigma, la regola in
riferimento alla quale gli uomini potevano trarre spunto di come
dovevano andare le cose.
Facciamo un salto di duemila anni e dal punto di vista tecnico non
è cambiato u gran che. Se ci portiamo nel 1600 quando nasce al
cosiddetta scienza moderna o scienza matematica, e qui facciamo due
piccole riflessioni. Prima facciamo una annotazione: dobbiamo
abbandonare anche la concezione che definisce l'uomo animale ragionevole,
definizione molto nobile nella sua tradizione (animale che ha il
linguaggio, che ha la ragione), non è vero perché l'uomo
non è un animale perché gli manca quella prima
prerogativa tipica degli animali che è l'istinto. Non è
un animale che in più ha la ragione, ma proprio perché
non è un animale ed è codificabile istintualmente si
mette a ragionare per vivere. La ragione è un pò il
compenso della carità istintuale.
Poi bisogna smontare un secondo pregiudizio e cioè
c'è la persuasione che la scienza sia pura, la tecnica un
sbottina a secondo dell'uso che se fa, non è vero, perché
l'essenza della scienza è la tecnica, non nel senso che la
scienza per poter produrre le sue scoperte abbia bisogno di dispositivi
tecnici, ma perché lo sguardo scientifico non è puro; la
scienza non studia per contemplare il mondo, la scienza studia per
manipolare il mondo. Per cui la intenzione tecnica è già
inscritta nella mentalità scientifica. Sarebbe come se in un
bosco andasse un poeta e un falegname, non vedono la stessa cosa i due,
uno vedrà gli alberi e l'altro vedrà i mobili.
L'intenzione scientifica è già tecnica è
già manipolativa, non si guarda il mondo per contemplarlo, la
scienza non guarda il mondo per contemplarlo, ma per manipolarlo, per
cui ribaltiamo il rapporto: la tecnica è l'essenza della
scienza, non la conseguenza della scienza; lo sguardo scientifico
è già condizionato dall'intenzione manipolativa.
Nel 1600 nasce la scienza moderna, la scienza matematica e qui una
piccola riflessione e vi chiedo un piccolo sforzo, ma però senza
sforzarci non va avanti il discorso. Nel 600 Galileo, Bacone, Cartesio
proseguirono con un modello di scienza che tutt'ora è un modello
attuale della scienza moderna che consiste in questo: mentre i greci -
lo dice in particolare Bacone - contemplavano la natura nel tentativo
di catturare le leggi di natura, le costanti della natura. Siccome non
approda a gran che, capovolgiamo il rapporto: noi uomini, intesi come
comunità scientifica, facciamo delle ipotesi sulla natura, poi
sottoponiamo la natura a sperimentazione, se l'esperimento conferma le
nostre ipotesi, noi assumeremmo le nostre ipotesi come leggi di natura.
Kant illustra bene nell'introduzione in Critica della ragion pura, e
parla a questo proposito di rivoluzione copernicana, cioè non
è più la terra al centro del mondo, ma è il sole
diceva Copernico il centro del mondo. Questo capovolgimento è
ciò che accade nel 1600 dice Kant, perché mentre prima
gli uomini, gli scienziati si comportavano nei confronti della natura
come uno scolaretto che beve tutto quello che dice il maestro (beve
tutto quello che la natura gli offre come immagine di sè), con
il 600 - dice Kant - il rapporto si capovolge, l'uomo non si comporta
più in confronto della natura come uno scolaretto che beve tutto
quello che dice il maestro, ma come un giudice che obbliga l'imputato a
rispondere alle sue domande. La comunità scientifica fa delle
ipotesi, sottopone la natura a esperimento, la natura risponde
all'esperimento, se l'esperimento conferma le ipotesi si assumono le
ipotesi fatte dagli uomini come diritti di natura, non come leggi
eterne, ma come leggi provvisorie di natura fin che non se ne trovano
di più esplicative.
La scienza non teme di smentire se stessa a differenza di altre
espressioni umane, a differenza della religione, se domani il Papa ci
viene a dire che Dio non esiste da un collasso alla religione, nel
senso che tutte le figure umane prevedono il negativo come l'escluso.
Anche l'ideologia se nega se stessa collassa, lo abbiamo visto in
questi anni; la scienza no, perché non assume le sue ipotesi
come leggi eterne, ma come leggi provvisorie finché non se ne
trovano di meglio. Se tutte le altre espressioni umane, religione,
politica, ideologie sono la loro negazione, per la scienza, invece,
sono incremento, se succede un disastro a Cernobil , nessuno dice che
la tecnica e la scienza sono da bandire, ma invochiamo la scienza e la
tecnica affinché pongano riparo al disastro. Per cui la
negazione al disastro tecnico viene risalvato dalla tecnica; mentre il
disastro ideologico non viene più salvato dall'ideologia, come
il disastro religioso non viene più salvato dalla religione. La
tecnica non prevede la sua negazione, la sua negazione è
condizione di incremento di se medesima.
Fatta questa operazione ci si incomincia a immaginare gli scenari di città tecnologiche, abbiamo la Città del sole di Campanella, l'Utopia di Tommaso Moro, la Nuova atlantide dello stesso Bacone, in cui si immaginano città dove la tecnologia sostituisce la fatica e il lavoro dell'uomo. E qui attenzione, ancora una volta non pensiamo che la scienza sia antitetica alla religione, non facciamoci ingannare dalla storia enfatizzata della guerra tra il Papa e Galileo, non è così, perché la scienza gronda di metafore religiose, è una conseguenza dell'apparato teologico medioevale la scienza. Bacone dice chiaramente che attraverso la scienza e la tecnica che da ora non farò più distinzione fra scienza e tecnica, giustificato dal fatto che la tecnica è l'essenza della scienza. La scienza e la tecnica - dice Bacone - ci restituiranno le virtù preternaturali, quelle che Adamo aveva prima del peccato originale, ma soprattutto consentirà agli uomini di redimersi dal peccato originale. Il peccato originale aveva determinato nell'uomo due condizioni penose che sono: il sudore della fronte e il dolore a cominciare dal dolore del parto. La scienza e la tecnica riducendo le pene del peccato originale, cioè le fatiche del lavoro e riducendo il dolore, che è un'altra conseguenza, l'altra pena del peccato originale, concorre alla redenzione, perché voi sapete che la redenzione, si è stata inaugurata da Cristo, ma vuole anche il concorso umano da redimersi. Per cui la scienza vive la stessa mentalità religiosa che consiste nel dire che il passato è male, il presente è riscatto e il futuro è salvezza; questa è la triade religiosa che si trova pari pari nella triade scientifica: il passato è ignoranza (male), il presente riscatto e il futuro è progresso.
La differenza sarà nei contenuti, ma la prospettiva, la
prospettiva è religiosa, la scienza vive una prospettiva
religiosa. Del resto questo lo verifichiamo psicologicamente tutti
quanti noi che ci rivolgiamo con la stessa attesa psicologica come una
volta ci si rivolgeva a Dio. Quindi vuol dire che questa macchina
è stata ben impiantata sullo scenario antropologico ben
radicato. Ma di scenari religiosi vive anche l'utopia e la rivoluzione,
per cui non sono io il primo a dirlo che il marxismo è nato con
l'avversione del cristianesimo, niente di più e niente di meno,
anzi Marx se si ricominciasse a studiarlo - dovremo aspettare tempi
migliori - usa le stesse parole della bibbia - la classe operaia ha
fame e sete di giustizia esattamente come il popolo di Israele - ma
non è questa la rivoluzione e prevede che la situazione attuale
sia male, l'atto rivoluzionario porta Ònuovi cieli e nuove
terreÓ. La secolarizzazione, Dio quando è morto non ha
lasciato solo opere, ma anche eredi e gli eredi della religione sono:
la scienza, l'utopia e anche la rivoluzione.
Si fanno queste città, questi scenari tecnologici,
però sono fantasie, perché nel 1600 la situazione non era
mutata rispetto alla posizione greca, i dispositivi tecnici non erano
particolarmente sviluppati rispetto all'epoca greca, di nuovo la
tecnica non poteva infrangere le leggi di natura.
E qui vediamo una invenzione metodologica potentissima, l'uomo che
fissa le leggi di natura; potentissima che ci consente di dire che
l'umanesimo non è Lorenzo il Magnifico, non è il
Debilitate ominis di Lorenzo Valla, l'umanesimo è la scienza,
perché con la scienza l'uomo diventa - lo dice Cartesio - dominator
et possessor mundi dominatore e padrone del mondo, questa è
l'essenza dell'umanesimo. I letterati fanno decoro a questa situazione,
ma il vero primato dell'uomo incomincia qui: l'uomo diventa padrone del
mondo attraverso la competenza scientifica. La scienza è quinta
essenza dell'umanesimo.
Facciamo un salto di atri due secoli e andiamo ad aprire un libro di
Hegel, un libro di logica, dove troviamo un centinaio di pagine un
pò strane e non è che c'entrano molto con la logica di
Hegel che è un libro molto difficile e che a un certo punto dice
due cose: la prima dice che la potenza della nazioni non dipende dai
beni di cui le nazioni sono proprietarie o i singoli individui sono
proprietari; la ricchezza d'ora innanzi si fonderà non sul
possesso dei beni, ma sul possesso degli strumenti, perché i
beni si consumano, mentre gli strumenti li producono dei beni. E qui vi
anticipo questo scenario tecnologico, ma la cosa interessante è
che Hegel dice queste cose nel 1816 quaranta anni dopo che era nata
l'economia politica 1776 con quel libro di Adam Smith sull'origine
della natura e della ricchezza delle nazioni. L'economia politica
è una cosa importante, perché l'economia è la
forma più alta allora raggiunta dalla razionalità, il
bene del furto, dello scambio, del dono, si introduceva lo scambio per
gli uomini, anzi la stessa parola ragione nasce originariamente in un
contesto economico, la ragione non è altro la ratio che io ti
devo dare quando tu mi dai qualcosa: tu mi dai un vitello, la ratio di
questo vitello sono cinque capretti, dammi l'equivalente. In questo
senso l'economia è una forma di razionalizzazione della
relazione dello scambio dei beni che non avvengono più o nella
forma della rapina, del furto e nella forma del dono che sono tutte
dimensioni non razionali, ma nella forma dello scambio dell'equivalente.
Rispetto all'economia la tecnica è una razionalità
ancora più perfetta, perché l'economia soffre ancora di
una passione umana che è la passione per il denaro di cui la
tecnica non soffre minimamente. E di questa spassionatezza della
tecnica vedremo dopo gli effetti.
Seconda posizione di Hegel, che forse è ancora più
importante della prima, la prima è anticipatore del futuro, la
seconda è strutturale, dice Hegel: Attenzione che quando si ha
un aumento quantitativo di un fenomeno, si ha la variazione qualitativa
del paesaggio. Vuol dire che se qui cadono quattro gocce piove, se
invece viene una alluvione cambia il paesaggio. Anzi l'esempio di Hegel
è ancora più elementare: se mi tolgo un capello sono uno
che ha i capelli, se ne tolgo due sono uno con i capelli, se ne tolgo
tre sono uno con i capelli, se li tolgo tutti sono calvo. Quindi
l'aumento della quantità è una variazione della
qualità.
Questo teorema che essendo così evidente viene subito catturato
da Marx e applicato all'economia, Marx dice: tutti sono convinti che il
denaro sia un mezzo per raggiungere determinati fini che sono la
soddisfazione di bisogni e la produzione dei ben, però - dice
Marx - se il denaro è la condizione universale per soddisfare
qualsiasi bisogno e per produrre qualsiasi bene, allora il denaro non
è più un mezzo, diventa il primo fine e per accaparrarsi
il quale si vedrà se soddisfare i bisogni e in che misura
produrre beni. Se aumenta quantitativamente il significato del denaro
da diventare la condizione per soddisfare qualsiasi bisogno e per
produrre qualsiasi bene, se il denaro ha questo aumento quantitativo,
di riconoscibilità e di assegnazione di valore, allora il denaro
non è più un mezzo, ma diventa il primo fine e per
realizzare il quale si vedrà se soddisfare i bisogni e se
produrre beni.
Marx esprime questo teorema nel tredicesimo libro del Capitale,
possiamo dire che la tecnica è la condizione universale per
realizzare qualsiasi scopo, la tecnica non è più un
mezzo, ma il primo scopo che tutti vogliono perché senza il
possesso della tecnica nessuno scopo è realizzabile nel senso
che gli scopi diventano sogni se non c'è il dispositivo tecnico
che consente di realizzarli. L'esempio palese l'abbiamo avuto con il
collasso dell'Unione Sovietica 15-16 anni fa e ci portiamo nel 1960 e
la tecnica sovietica era uguale alla tecnica capitalistica, il primo
uomo nello spazio è stato mandato dall'Unione Sovietica, una
equivalenza del dispositivo tecnico non consentiva di usare il collasso
dello scopo, il comunismo a diffusione mondiale, di contro il
capitalismo a diffusione mondiale. Ma quando la tecnica sovietica
è arrivata a un livello tale di non poter più raggiungere
la tecnica americana, anche lo scopo del comunismo e venuto a meno
è collassato.
Io non credo che il crollo dell'Unione Sovietica sia avvenuta per
ragioni antropologiche, come la perdita della libertà, la fame e
così via, non sono mai questi i motivi per cui collassa una
cosa, fra un paio d'anni potrebbe collassare di nuovo, visto che il
crollo del comunismo non è che ha portato benessere e ricchezza.
Il concetto è un altro, se tecnica è la condizione per
arrivare a uno scopo, il collassare del mezzo fa si che lo scopo
diventi un sogno, una fantasia col quale non riesce a tenere il regime
della storia. Questo ha delle rilevanze tremende in tutti gli scenari,
il primo scenario è la politica. Noi già oggi assistiamo
che la politica non è più il luogo della decisione,
aldilà delle messe in scena non è più il luogo
delle decisioni, la politica per decidere deve guardare un altro
scenario che si chiama economia. A sua volta l'economia deve guardare a
un'altro scenario che è il dispositivo tecnico, quanta
tecnologia abbiamo, di quante capacità tecnologiche disponiamo,
dove conviene investire in innovazione tecnologiche? La politica decade
come luogo della decisione, perché diventa più decisiva
l'economia, l'economia a sua volta sceglie a partire dalla
disponibilità tecnologica, per cui già la tecnica tiene
sotto banco l'apparato decisionale.
Questo fa pensare a una fine della politica evidentemente, non
bisogna pensare che ci siano delle categorie eterne, la politica nasce
nel 400 a. C. ad Atene, nata e cresciuta faticosamente e forse sta
finendo. Non solo, anche perché è cambiata la struttura
del potere, finora abbiamo visto la politica che assomiglia a un
triangolo dove al vertice c'è il potere, alla base c'è
l'osservanza e non osservanza dei dispositivi del potere. Da una parte
si comanda e dall'altra si ubbidisce o disubbidisce, quello è un
po' il modello arcaico che funzionava fino all'età
pretecnologica, oggi non funziona più, perché la tecnica
distribuisce il potere a tutti gli operatori, tutti coloro che operano
nel triangolo hanno la possibilità di godere di un piccolo
potere sufficiente a far saltare tutto l'apparato. È sufficiente
che dieci controllori di volo interrompano la loro attività che
tutta la navigazione aerea si blocca. L'Apparato funziona se tutti i
segmenti dell'apparato compiono il loro lavoro, basta che uno si
blocchi che si interrompe tutto l'apparato. Su questo profilo la
tecnica è molto democratica, un potere che gli americani hanno
ben individuato e hanno chiamato Òil potere di non fareÓ.
Questo fa si che se fossero i partiti ad abitare nella casa della
tecnica voi capite che l'unica politica idonea se ciò è
vero, ma è vero, non è mai la politica decisionista, ma
è sempre la politica mediazionale. Si è sempre inneggiato
al decisionismo dall'epoca di Craxi in poi, ma all'età della
tecnica il decisionismo conta proprio niente. Conta la mediazione
continua, se tutti sono depositari di un piccolo potere dalle enormi
conseguenze, allora bisogna chiaramente mediare con i depositari del
potere che siamo un po' tutti noi.
Ma la cosa più tremenda con la venuta l'apparato
tecnoscientifico, credo sia la fine della democrazia e non
perché venga una dittatura che, rispetto alla tecnica è
molto grossolana, Stalin, Mussolini. Hitler sono grossolani,
perché sono condizioni che non possono più accadere in
occidente, la cultura tecnologica non consente più di pensare
che un uomo risolva tutti i problemi, solo i paesi arretrati hanno
questa fantasia, ma al di fuori di quelli, nella cultura occidentale
non si ipotizza più. Perché i dispositivi tecnici di cui
più o meno sono tutti competenti, sappiamo che la rete
tecnologica è tale che il controllo di questa rete non è
consentito a nessuno e vedremo questo il perché. La tecnica ci
pone dei problemi che rispetto ai quali noi siamo del tutto
incompetenti, se mi dovessero far votare circa l'apertura o chiusura
degli impianti nucleari, per votare con competenza dovrei essere un
fisico nucleare e non lo sono, allora voto sulla base di suggestioni
psicologiche: paura del nucleare, appartenenze politiche, effetti
retorici, dimensioni fideistiche, me lo dice il Papa. Il Papa on si
è ancora espresso sul nucleare ma si è espresso su tanti
scenari tecnico-scientifici, nel referendum che abbiamo fatto era uno
scenario tecnico-scientifico di cui molti erano incompetenti. La
democrazia collassa e viene sostituita dalla retorica che non è
la competenza.
Nella Repubblica, Platone ci racconta che c'era bisogno di navi per
fare la guerra ai persiani e allora si rivolge ai tebani e chiede gli
alberi del monte Citereo, i tebani acconsentono dicendo che gli
ateniesi onorano gli acquisti, pagano bene, però ricordate che
una volta disboscato il monte Citereo avrete un aumento della bora e
dal porto di Atene le navi partiranno con molta difficoltà.
Problemi che tutti capiscono, ma se si chiede: bisogna fare o non gli
organismi geneticamente modificati non è facile decidere,
bisogna essere un biologo molecolare. Fecondazione tecnicamente
assistita, come faccio a decidere? Certo, criteri di libertà, si
vuole vietare agli altriÉ.Il problema è che la
tecnoscienza ci scaraventa dei problemi rispetto a cui non possiamo
essere democratici perché non capiamo il problema, perché
non abbiamo competenza sufficiente intorno a quel problema e quindi
diventiamo vittime della retorica, della persuasione, Berlusconi questo
forse non l'ha intuito gli è capitato che l'effetto retorico
è più quotato che l'effetto della competenza.
E questo è pericoloso, se pensate che Platone dedica ben 12
su 36 dialoghi ai riti dei sofisti i quali ottengono il consenso
attraverso la seduzione degli animi e contro questa ipotesi seduttiva
dei retori e contro la falsificazione di sillogismi attraverso cui si
fa un passaggio ingannevole, lo vediamo oggi con la legge elettorale,
si fa un passaggio ingannevole. Chi ha un voto in più ha vinto?
Platone volendo fondare la democrazia in Atene cosa che è un
esempio della filosofia la democrazia, la Repubblica di Platone se la
prende appunto con i retori e i sofisti perché corrompono gli
animi, li seducono e quindi gli vietano l'uso della ragione. Operazione
possibile all'epoca di Platone, educare gli uomini a ragionare, invece
che commuoverli o affascinarli. Oggi questo non è più
possibile, perché il livello di competenza dei prodotti
tecnico-scientifici è tale Éio non sono competente per
cui mi lascerò inevitabilmente sedurre per prendere posizione.
In questo senso io la vedo brutta per la democrazia per ragioni di
incompetenza, cioè è una fine strutturale, non
perché si è democratici o antidemocratici, ma
perché non si è più all'altezza della decisione,
perché il problema che ci si pone è aldilà della
nostra competenza.
Questo è un pò lo scenario di sfondo della politica,
le stesse cose si possono dire a proposito della morale, la scienza ci
pone dei problemi rispetto cui la morale annaspa. Io ho fatto parte
della commissione sulle cellule staminali tre anni fa con quella cosa
che io eliminerei dalla faccia della terra che si chiamano comitati
bioetici, dove ci sono un pò di scienziati che se ne intende,
qualche teologo, perché ci vuole la parola di Dio, poi i
filosofi che in morale hanno una sensibilitàÉ.Io mi sono
informato, ci ho messo quindici giorni a capire cosa sono le cellule
staminali, dove si possono prendere, la mia competenza dipendeva dalla
narrazione degli scienziati, i quali potevano raccontarmi quello che
volevano e dopo di che io dovevo esprimere un giudizio. Lo ho espresso
naturalmente, perché poi e ovvio: si devono usare le cellule
staminali, ma non è per competenza che dico queste cose. I
comitati bioetici sono gestiti da coloro che sanno, poi c'è la
retorica che dice al popolo si, no; c'è la fede che dice al
popolo si, no, ma è brutto che la storia vada avanti a colpi di
irrazionalità e di prese di posizioni ideologiche e però
ci troviamo ormai in questa situazione.
La morale che cosa ci può fare? Per farla breve noi in
occidente sostanzialmente abbiamo conosciuto tre tipi di morale, la
prima è la morale cristiana, sulla morale cristiana si è
fondato tutto l'ordinamento giuridico europeo: tu sei imputabile a
partire dall'intenzione della tua azione. Che intenzione hai quando
compi un'azione? E sull'intenzione ti giudico colpevole o innocente.
Anche l'ordine giuridico quando uno compie un delitto si guarda se di
quel delitto sei colpevole, oppure un giudizio colposo, un giudizio
intenzionale, un delitto preterintenzionale, è l'intenzione
dell'attore sociale ciò che viene giudicato. Questa morale che
si chiama morale dell'intenzione, nell'età della tecnica non
serve proprio a niente, perché che intenzione avesse Fermi
quando ha inventato la bomba atomica a me non interessa niente, mi
interessano gli effetti della bomba atomica, non che intenzione aveva
lui.
Un'altra morale che è stata fondata è quella laica di
Kant, che non si è mai realizzata naturalmente, per dirla in una
battuta egli dice: l'uomo va trattato sempre come un fine, mai come un
mezzo. Non è vero. Non si è mai realizzata perché
tutti abbiamo esperienza che abbiamo diritto all'esistenza solo se
siamo produttori di beni, i quali sono i veri fini. Noi siamo
giustificati nella nostra esistenza, lavoriamo e prendiamo uno
stipendio solo se diventiamo produttori di beni, forse la condizione
nostra è privilegiata perché siamo occidentali, ma
guardare alla sorte di un impiegato, di un emigrato è
giustificata la sua esistenza se si diventa produttori di beni.
L'uomo è da trattare sempre come un fine e mai come un mezzo,
in realtà è trattato sempre come un mezzo in vista di
quel fine che si chiama produzione dei beni, perché come oggi
nella nostra cultura il denaro è diventato unico generatore di
beni, è ovvio che il fine è il denaro e non sono gli
uomini e le loro sorti. Ma se anche si fosse realizzata l'etica laica
di Kant, non sarebbe all'altezza dell'età della tecnica. Cosa
vuol dire che l'uomo è un fine? Vuol dire che tutte le altre
cose sono mezzi, ma nell'età della tecnica tutte le altre cose
davvero possono essere trattate come mezzi? Oggi l'aria è un
mezzo o è un fine da salvaguardare? L'acqua è un mezzo o
un fine da salvaguardare? Le foreste sono mezzi? Ciò per cui
venivano praticati erano mezzi perché gli uomini erano pochi e
la terra era grande, adesso non sono più mezzi, sono fini. Per
cui anche nell'impostazione kantiana l'uomo è da trattare sempre
come un fine e mai come un mezzo, quindi tutte le altre cose si possono
trattare invece come mezzi, tra l'altro di derivazione biblica
Òdominerai su tutte le cose, dalle acqueÉ.Ónon
è all'altezza dell'età della tecnica.
Nel 1910 Max Weber pensa a una terza forma etica ad una morale che
lui chiama Òdella responsabilitàÓ. Dice Weber:
l'etica delle intenzione non serve a niente in una età che
diventa sempre più tecnologica e quindi noi non dobbiamo
più guardare le intenzioni degli uomini quando compiono le loro
azioni, ma gli effetti delle loro azioni. Non è che la tecnica
abbia degli scopi, che l'apparato scientifico funzioni supponiamo della
formula: dobbiamo trovare rimedio al cancro, quindi giù tutti
gli scienziati a far ricerche. Se qualcuno dei presenti fa lo
scienziato può dare la testimonianza che le procedure sono
tutt'altro. Io biochimico, biologo molecolare lavoro su questa cellula
per dieci o vent'anni in modo da sapere da questa cellula tutto quello
che si può saper, indipendentemente da qualsiasi scopo. Tu
lavori per quest'altra cellula per dieci o vent'anni per sapere tutto
quello che si può sapere senza nessuno scopo, se poi dalla
combinazione di queste competenze può saltare fuori qualcosa che
torni vantaggiosa all'uomo, - questo non è sufficiente -
è anche economicamente vantaggioso, - perché rimedi per
salvare la gente dalla sifilide o dalle malattie più elementari
le abbiamo trovate, ma non sono economicamente vantaggiose - allora
accade qualcosa di antropologicamente vantaggioso, ma solo se lo
è economicamente, dal punto di vista tecnico non è che la
tecnica si ponga degli scopi, l'etica della tecnica è di sapere
tutto ciò che si può sapere prescindendo dagli scopi.
La tecnica non ha scopi, l'unico scopo della tecnica è il suo
autopotenziamento il più possibile e ciò che tutti
vogliono è che la tecnica possa disporre del maggior
quantitativo dispositivo tecnico più perfezionato possibile. La
prova evidente che le cosa vadano così: voi pensate che i
dispositivi atomici che abbiamo sono sufficienti per distruggere la
terra diecimila volte, mi pare sufficiente no come scopo? Però
questo non ha fermato il perfezionamento del dispositivo atomico, si va
avanti per vedere come si può fare meglio questa operazione, il
che significa che la tecnica tende all'autopotenziamento prescindendo
dagli scopi. Non c'è nessuno che possa controllare la tecnica,
anche le fantasie che facevamo nel sessantotto sul potere, si, ci
sarà un potere politico, un potere economico, ma un potere
tecnicoÉ sulla tecnica non c'è un potere, anche qui per
ragioni di competenza.
In america sono nate riviste divulgative, non per noi che non
capiremmo niente, ma per consentire al fisico che sta facendo la
ricerca di parlare con un fisico - siamo nell'ambito della fisica - che
sta facendo un'altra ricerca che se parlassero direttamente non
capirebbero che cosa stanno facendo l'un l'altro. Nascono delle riviste
di traducibilità per consentire a due fisici di intendersi,
pensate tra un fisico e un chimico, tra un chimico e un biochimico, un
biochimico e un genetista: chi controlla la tecnica, nessuno controlla
la tecnica.
Se queste sono le punte avanzate ciò da cui poi cascano le
scoperte, quelli di cui noi dopo discutiamo OGM, di utilizzi per
l'atomica, per produrre energia, fecondazione assistita, e ci sono le
ricadute finali. C'è ancora un maggiore controllo, che non
è un controllo etico, è un controllo economico, cosa mi
rende questa ricerca se la finanzio? Però questo controllo
economico riesce a percepire il vantaggio e lo svantaggio quando la
ricerca è arrivata nelle prossimità dell'applicazione:
quella che si chiama ricerca applicata. La ricerca applicata non
è interessante, ormai siamo alla fine del processo, quello che
è interessante è la ricerca di base che i paesi furbi
finanziano, noi non la finanziamo così diventeremo sempre
più dipendenti da tutte le scoperte che faranno gli altri. La
genetica per esempio che è tutt'uno con la medicina cade
all'ultimo posto. L'informazione diventa la condizione della
democrazia, noi non abbiamo un giornalismo scientifico, se si spende
per una pagina di Repubblica la si spende per la pillola della
felicità e non certo per la genetica, andando avanti di questo
passo, siamo quello che siamo e diventeremo economicamente dipendenti,
ma questo non è interessante da mio punto di vista.
Noi disponiamo di un'etica all'altezza dell'età della
tecnica, per cui l'etica ai miei occhi diventa patetica, cioè
implora la tecnica che pu, di non fare ciò che può, e non
si è mai visto nella storia che chi può non faccia
ciò che può, se si può si fa. Queste battaglie di
retroguardia sulla fecondazione assistita: se si può si fa, ma
non che si fa perché si deve fare, perché tutto
ciò che è possibile si fa. L'etica che chiede alla
tecnica che può di non fare ciò che può, nella
storia mi pare che non si sia mai visto, di questa implorazione abbia
qualche effetto anche in altri scenari.
Io faccio incominciare l'età della tecnica dalla seconda
guerra mondiale, non nel senso che prima non ci fosse nell'industria
reparti tecnologici, si c'era tutto più o meno, non così
perfezionato, però io mi baso su un fatto che per me è
quello decisivo per cui siamo entrati davvero nell'età della
tecnica che è il seguente: la suggestione di un filosofo
sconosciuto che io cerco di far conoscere a tutti i costi in Italia con
grande difficoltà perché gli editori dei morti se ne
fregano ed è Gunther Anders, personaggio eccezionale, figlio di
due psicologi che per sfuggire al nazismo è andato in America e
lì invece di fare il privilegiato è andato a lavorare
alla Ford, e lì ha capito che prima di tutto le macchine sono
più perfette degli uomini, per cui gli uomini avranno
legittimità a questo mondo se diventeranno simil-macchine e
sviluppa questi concetti in maniera molto robusta. Concetti che poi
sono noti per una ragione molto elementare, che lui queste cose le
raccontava a sua moglie che era Anna Arent la quale le scriveva,
perché tutti conoscono Anna Arent compreso la
Òbanalità del maleÓ che è invece una
espressione di Gunther Anders e non conoscono la fonte di questo
pensiero.
Questo filosofo considera l'esperimento nazista quello che ha
stravolto la storia, non perché - dice lui - ha ucciso sei
milioni di ebrei, zingari e omosessuali, ma perché l'esperimento
tragico del nazismo è consistito nel fatto che si è
costruito un apparato in cui il singolo operatore non rispondeva dello
scopo finale del nazismo, rispondevano del loro lavoro. Quando prendono
qualche generale nazista e lo processano, la risposta rituale è:
io ho ubbidito agli ordini. Dal punto di vista della mentalità
della tecnica questa risposta è corretta, e allora l'esperimento
nazista - dice Gunther Anders - è un teatrino di provincia di
quel grande scenario che sarà l'età della tecnica.
Leggevo un libro dove viene intervistato il direttore del campo di
concentramento di Treblinca e gli chiede: ma tu quando ammazzavi la
gente cosa provavi? Lui resta sconvolto, ma non capisce. Io avevo un
compito - dice - che alle undici arrivava un convoglio con cinquemila
persone che dovevano essere soppresse entro le tre perché
arrivava il secondo convoglio e si poteva intasare il piazzale, io
dovevo semplicemente eseguire gli ordini, questo è il mio lavoro.
La tecnica ci mette in apparati di cui non conosciamo le
finalità e siamo giudicati buoni o cattivi a seconda che
all'interno dell'apparato eseguiamo bene o male le azioni che sono
descritte e prescritte, quello che si chiama il mansionario, la
professionalità, parole terribili queste. Lavoro, anche qui si
dice: quando abbiamo finito il lavoro, ma attenzione alla parola
lavoro. Usciamo pure dallo scenario del nazismo che è uno
scenario da prendere in punta di piedi, ma portiamoci nel bresciano
dove si costruirono le mine antiuomo e forse si costruiscono ancora,
chi opera lì è un operaio o un delinquente? Io penso di
poterlo ancora chiamare operaio, perché nell'ipotesi che gli
offrissi uno stipendio per lavorare a una catena alimentare mi direbbe
di si. Questo vuol dire che lui non è responsabile di quel
prodotto finale che lui costruisce, lui è responsabile della
buona esecuzione del suo lavoro.
Sempre Gunther Anders ha scritto due belle lettere una a quel pilota
che ha bombardato Hiroshima, da cui ha avuto quella risposta tragica
alla domanda di cosa aveva provato a sganciare la bomba, il pilota ha
risposto: niente, questo è il mio lavoro. Siccome io sono un
frammento nell'apparato, gli scopi finali dell'apparato mi sono ignoti,
e anche se mi fossero noti non ne sono responsabile. Supponiamo che la
BNL a suo tempo avesse finanziato le armi a Saddam Hussein, l'impiegato
è responsabile dello scopo finale della BNL? No, la tecnica ci
pone ad un livello di assoluta irresponsabilità, traduce un
comportamento umano dall'agire al fare; agisco quando ho uno scopo
rispetto a cui compio azioni, faccio quando eseguo bene o male le
azioni che mi sono prescritte dall'apparato senza alcuna
responsabilità finale. Questo vuol dire l'essere entrato in una
età della tecnica di cui l'esperimento nazista è stato
l'incipit. Adesso questo è su vasta scala, quando voi investite
i vostri risparmi in borsa, sapete gli scopi finali delle aziende che
finanziate? Perché le vostra competenza è solamente in
questo 100 e speriamo che fra dieci anni di avere 105, questa è
la vostra competenza, ma vi esonerate dallo scopo finale e non potete
neanche qualora voleste saperlo, lo scopo finale non lo potete sapere,
sfugge dalla vostra visibilità. In questa traduzione radicale
dall'agire al fare, per cui questa diffusione radicale della
irresponsabilità finale sugli scopi ultimi, questo significa
essere entrati nell'età della tecnica.
Heidegger che era un nazista, ma era anche un filosofo intelligente
(ogni tanto capita), diceva nel 1956 in un libricino dice che:
inquietante non è che il mondo si sia risolto in un unico
apparato, ancora più inquietante è che non siamo affatto
preparati e non e che riusciamo ad adattarci davvero a questo scenario,
ma cosa più radicale è che non disponiamo di una forma di
pensiero che non sia un pensiero come calcolo e non disponiamo di altri
tipi di pensiero per poter ostacolare l'accadimento tecnico.
Perché la tecnica non passa come il vento e poi si lascia la
terra immutata, la tecnica ci modifica intellettualmente, ci abitua a
ragionare in termini di utile e inutile, che cosa è santo, che
cosa è buono, che osa è giusto, che cosa è bello,
diventa un discorso immaginario. L'obiezione è malata e non
può essere un contratto della tecnica, no, perché il
mondo non si muove artisticamente, si muove tecnicamente, si l'atre
diventa un ornamento degli apparati tecnici, non è ciò
che attorno accade al mondo.
Allora ci modifica mentalmente, ci costruisce per es.
un'intelligenza di tipo binario capace di dire1,0,si, no, al massimo
non so, cioè non sono competente, ci toglie il pensiero
problematico che è stata la forma della intelligenza umana; era
bello impostare i problemi e risolverli e se non si trovava la
soluzione si ribaltava il problema dando un'altra formulazione al
problema. Noi oggi, invece, ci muoviamo all'interno del simbolo non so,
a cui ci allena quotidianamente la televisione, perché
c'è un servizio alle operazioni conformistiche, di abbattimento
dell'intelligenza e poi è diventata anche una delle prove di
maturità. E poi un modificazione tipica del pensiero ad opera
della televisione, ma la televisione modifica anche i nostri sentimenti
che sono a stretto ambito a stretta circoscrizione. Se muore mio
fratello piango, se muore il mio vicino di casa faccio le condoglianze,
ma mi dicono che ogni minuto muoiono cinquecento bambini al modo a
questo punto dico che è una statistica e non mi commuovo, non ce
la faccio, non sono all'altezza. Il troppo grande mi lascia
indifferente, se adesso in Pakistan sono morte centocinquantamila
persone, mi dispiace, ma non soffro, non sono in grado, non ho
capacità psichiche per arrivare a questo tipo di dolore, ma
tecnica mi scarica attraverso il processi di comunicazione il dolore
del mondo, rendendomi praticamente apatico e insensibile, perché
il troppo grande non riscuote più nessuna movenza.
Che cosa posso fare io veramente per modificare le cose, quindi
c'è una impotenza dell'individuo, una forma di conformismo
sempre più generalizzato, non abbiamo più bisogno del
fascismo o del comunismo, di queste forme grossolane di dittatura, la
dittatura si determina attraverso questa operazione di
responsabilità generalizzata, di conformismo sempre più
diffuso, riduzione dell'impatto sentimentale, riduzione della
vitalità cerebrale attraverso un codice binario che è poi
il codice del computer, sempre le stesse cose e così non abbiamo
bisogno che qualcuno ce le imponga, facciamo come fanno tutti e questa
è la condizione migliore, non fascismo morbido è
sbagliato parlare di fascismo, ma di umanità insignificante dove
i fatti rivoluzionari non sono più praticabili, non è
più possibile la rivoluzione, perché la rivoluzione
è possibile quando c'è conflitto fra due volontà,
gli Agnelli e gli operai due volontà antitetiche, facciamo la
rivoluzione, ma adesso sia Agnelli che gli operai della Fiat sono sullo
stesso piano rispetto all'altra dimensione per la razionalità
del mercato di cui soffre sia l'operaio che il padrone, quindi non
c'è più il conflitto fra due volontà che è
la macchina rivoluzionaria, ma c'è la subordinazione delle due
volontà a un tecniconflitto, e quindi capace di rivoluzione e di
reazione, la subordinazione delle due volontà a quella forma
anonima razionale che si chiama mercato rispetto al quale i due sono
vittime, per questo la rivoluzione non è più possibile.